Tratto da Dracula di Bram Stoker
Docente di Antropologia culturale all’Università della Calabria e dirigente del Centro studi e ricerche Antropologie e Letterature del Mediterraneo, Vito Teti riporta alla luce la lunga tradizione del vampiro nella nuova pubblicazione del suo saggio Il vampiro e la melanconia. Miti, storie, immaginazioni, edito da Donzelli Editore e presentato ieri sera a Bovalino presso il Caffè Letterario Mario La Cava. Si tratta in realtà di un aggiornamento del già pubblicato Il vampiro e la melanconia. Mito storia immaginario edito da Manifestolibri, che ritorna in una versione amplificata dallo stesso autore.
Dracula di Bram Stoker è forse la figura che gioca il ruolo centrale nella tradizione vampiresca più di qualsiasi altro, ma come scrive Teti, il vampiro va al di là della sua accezione letteraria, non è un qualcosa fermo nel tempo, ma diventa, oggi, oggetto di riflessione sul passaggio del mondo occidentale dalla tradizione alla modernità. Rappresenta un futuro di angoscia si inserisce nella sfera dell’incertezza «dell’uomo contemporaneo che cerca disperatamente di rimuovere la morte e teme di essere travolto dal postumano».
Vito Teti si aggira tra questi esseri immaginari, scava nelle profondità della terra per riportarli in vita e ne assume i vari aspetti ponendoli al centro del suo studio antropologico. Il vampiro infatti diventa il filo conduttore dell’opera saggistica del professore, non è tanto la sua storia ad essere la centralità dello scritto, bensì gli elementi della società e della cultura che ne assorbono le caratteristiche. E allora le sfaccettature del vampiro divengono molteplici ed eccezionali: esso si aggira nei borghi abbandonati, che hanno subito il tragico fenomeno dello spopolamento, è il volto dell’emigrante costretto ad abbandonare la sua terra riscoprendo il suo doppio nel nuovo mondo senza possibilità di ritorno al passato ormai morto. Il vampiro si incarna nelle grandi potenze mondiali che lottano tra loro per la paura di essere prosciugate del proprio sangue, assume il volto dell’Europa.
Il saggio di Teti è una pura immersione nel pensiero antropologico e storico ricco di credenze, miti e racconti che hanno dato vita ad una delle figure più inquietanti e affascinanti allo stesso tempo nella storia dell’uomo.
La metafora utilizzata per descrivere il fenomeno dello spopolamento è a dir poco affascinante: i paesi dell’entroterra, poveri di abitanti o completamente vuoti, si trasformano in non luoghi, sono i non morti, dei renevants, figure vampiresche che non sono avvolte dal male, bensì assumono un’aurea di melanconia, di storia nostalgica, richiamano l’uomo a sé, lo trattengono alle loro radici cercando di mantenere vivo il ricordo della sua storia.
Allo stesso tempo l’emigrato o l’immigrato, sostiene Teti, è il “vero defunto” in quanto abbandonando la sua ombra, è costretto alla morte del suo passato al quale non riesce più a tornare indietro.
Ma Teti ritorna anche alla concezione originaria del vampiro, ovvero la paura della morte. La lunga tradizione pone nel medesimo regime figure come lupi, licantropi, streghe, sciamani e se vogliamo anche assassini, tutti elementi che ricadono in quello spazio di mezzo tra il mondo dei vivi e quello dei morti. A tal proposito il vampiro continua a rimanere la figura per eccellenza che rappresenta questa situazione di sospensione tra noi e l’oltre.
La paura di un ritorno dei morti ha da sempre attanagliato l’animo dell’essere umano. Una testimonianza delle pratiche adoperate è emersa dal ritrovamento in Bulgaria di uno scheletro i cui canini erano stati strappati e il cui petto era stato trafitto da un paletto. Questo testimonia come le credenze di un ritorno sulla terra dei defunti fosse estremamente sentito nella società occidentale, la quale si sente incapace di accettare la morte.
Considerando la storia tutte le società, le religioni e le scienze si sono costruite sulla consapevolezza della morte. Dimostrazione è sicuramente il Messico la cui gente dedica periodicamente dei giorni di festa ai defunti durante i quali vengono addirittura riesumati i corpi dei propri cari dalle tombe.
E così, riprendendo il pensiero di Croce, di Eliade e di de Martino, il problema di superare la morte sta “nell’uccidere cultivamente il defunto” valorizzandolo e inserendolo nella ritualità. Solo in questo modo esso diviene, da figura terrificante e malevola, elemento benefico, capace di istaurare un dialogo col mondo dei vivi.
Il saggio di Vito Teti estremamente ricco e denso è caratterizzato da continue ricerche dell’altrove, attraversa gli anni della storia, i luoghi della geografia, la tradizione e l’antropologia. Si tratta di un saggio rivoluzionario che pone l’uomo in uno stato di profonda riflessione. Esso è un vero e proprio viaggio nel passato dei grandi miti mondiali che approda alla modernità, alla storia del presente e del nostro stare al mondo.
Cristina Caminiti