editoriale

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho cercato di immedesimarmi in Marisa Garofalo, quando, dopo tutto quello che ha passato per salvare la sorella, dopo la morte della stessa, dopo il lungo percorso della giustizia, si è sentita dire che no, non può essere considerata la sua domanda, lei proviene da un ambiente delinquenziale.

Non sei, Marisa, una persona per bene, dopo tutto quello che hai fatto. L’informativa ha bloccato il percorso di risarcimento e il fondo per i familiari di vittime di mafie non è per te. Perché, da come risulta, ci sono ancora le segnalazioni su te e tua madre quando conversavi con loro perché non te la ammazzassero.

Ho provato ad immedesimarmi e ho sentito un grande sconforto. Lo sconforto di chi, incredulo, pensa che la sua vita è stata messa lì, in modo chiaro, a raccontare gli sforzi di una sorella, e sentirsi dire che la delinquente sei tu. Che delusione.

Il problema è che così non si sa più a che giustizia credere, quella della legge, burocratica, formale, fredda e intransigente o quella delle cose giuste da fare, del parlare con loro perché non la toccassero? Del fingere con loro che tutto va bene, ma li vorresti uccidere tu, con le tue mani, perché l’hanno ridotta così?

Non condanno moralmente chi ha emesso questo giudizio. La legge è legge, le regole sono regole e così vanno applicate, ma l’eccesso di formalità crea mostri di giustizia. A quanto ci è dato sapere le informative dei carabinieri riguardano attività di dialogo precedenti alla morte di Lea, nel momento in cui la volevano tenere con sé e chiedevano a loro, ai Cosco, di lasciarla stare. Viene detto che ha parentele con le cosche locali, il padre e il fratello erano stati uccisi. Cosa prevede allora la legge per chi vuole scappare da questi ambienti? E chi si allontana da sola, lotta per tanto tempo, alla fine il marchio sulla sua fronte non si cancella? La lettera scarlatta non sparisce? Attenzione, tutte queste persone che per amore, per la legge di un cuore e di una coscienza, scappano dalle mafie, come fanno a sentirsi protette? Come può uno Stato permettere che la risposta della Prefettura, che doveva arrivare in 60 giorni, si incagli in più di due anni e che così  il risarcimento riconosciuto dai giudici a Marisa non spetti, perché “non estranea ad ambienti delinquenziali”?

 

Non punto il dito con chi applica le norme, ma a chi permette che la legge sia asettica e la sua forbice sia troppo stretta, non si adegui ai casi più evidenti, non risponda davvero alla sete di giustizia delle persone.

Pericoloso, perché c’è chi non aspetta altro, che di alimentare il senso di delusione verso lo Stato, per poter diventare essa stessa forza più vigorosa contro la giustizia degli uomini, quella che, anche se da limare, deve vincere sempre.

La direttora

Raffaella Rinaldis