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Dal 12 febbraio 2021 sono stati fatti affiggere in prossimità dei principali plessi scolastici, manifesti a sostegno di una campagna antiabortista per iniziativa dell’associazione onlus Pro.vita.

In essi si legge “il corpo di mio figlio non è il mio corpo sopprimerlo non è la mia scelta ”stopaborto”.

E’ incontestabile che il contenuto visivo e verbale di questi cartelloni sia estremamente inquietante, carico di sentimenti d’odio e di disprezzo verso la donna, e che il sostantivo corpo è abilmente utilizzato al posto di quello scientificamente esatto di embrione.

La circostanza che una associazione porti avanti una politica contraria all’aborto può essere condivisa o meno, ma certo non può accettarsi l’uso di un linguaggio aggressivo e carico di animosità con intento chiaramente manipolatore, rivolto ad ingenerare in chi legge, senza rendersene conto, ribrezzo, fastidio, per la donna che sceglie l’interruzione volontaria della gravidanza, la quale viene equiparata ad una omicidio legalizzato.

Tale operazione mediatica è resa efficace attraverso un linguaggio plasmato per alterare la realtà, inducendo in errore il destinatario: “Se il pensiero corrompe il linguaggio, anche il linguaggio può corrompere il pensiero” recita George Orwell.

Il manifesto realizzato e diffuso è un proclama che offende la donna nella sua dignità, nella sua libertà di essere madre, dandole un’accezione di morte e paragonandola ad un assassina consapevole.

La legge 194/78, che riconosce alla donna il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, nasce innanzitutto a tutela della salute della donna contro l’aborto clandestino, e secondariamente per dare un trattamento sanitario convenzionato uguale e accessibile a tutte le donne, a prescindere dalla classe sociale di appartenenza e dallo stato civile, secondo il principio di consapevolezza ed autodeterminazione delle proprie scelte.

Dietro la decisone di ricorrere ad una interruzione volontaria di gravidanza vi è una scelta drammatica, meditata e sofferta che nulla ha a che vedere con lo slogan gratuito, superficiale, di pessimo gusto, svilente e mortificante per ogni donna, pubblicizzato dall’associazione Pro-vita, che nasconde una mentalità sessista vetero-patriarcale e discriminatoria di genere.

L’Unione Donne in Italia di Reggio Calabria e JINECA, consapevoli che la legge 194 difenda e sia fondata sul diritto all’autodeterminazione delle donne, denunziano al contrario la sua scarsa applicazione in molti territori come quello Calabrese, e pertanto sostengono l’azione intrapresa dal Sindaco Giuseppe Falcolmatà con l’oscuramento dei manifesti offensivi della loro libertà di scelta.


Unione Donne in Italia Reggio Calabria Un’idea che fa Storia