“Cosí vanno le cose! E adesso, poi, / io me la piglio con l’ambiguo Apollo, /che dal tripode d’oro oracoleggia. / Non ho forse ragione? Lui che, dicono, / è medico e indovino da cartello, / ha rimandato il mio padrone pazzo / da legare. Ché va dietro le peste / d’un uomo cieco; e fa tutto il contrario / di quello che dovrebbe. Perché noi / che ci vediamo, li guidiamo, i ciechi. / Questo si fa guidare, e vi costringe / me, né risponde sillaba”. (Carione – incipit Pluto, Aristofane)
L’attualità del teatro greco rivive la storia dei suoi miti nell’affascinante Teatro Greco Romano di Portigliola in un’atmosfera che riporta gli spettatori contemporanei a rivivere le bellezze dell’antichità.
In questa accezione romantica Aristofane fa il suo ingresso con una rivisitazione della sua ultima commedia Pluto, riletta e interpretata sotto la regia di Vito Cesaro e che ha visto la partecipazione di Danny Mendez, Mario Zannino, Claudio Lardo, Rita Citro, Edoardo Di Lorenzo e Antonio Magliaro.
La scena si è aperta subito dopo la presentazione di Maria teresa D’Agostino che ha accolto il pubblico e dato il benvenuto agli attori sul palcoscenico.
Una commedia moderna, che seppur in uno scenario greco-napoletano ornato di battute e humor meridionale, ha saputo soddisfare il pubblico, il quale ha gradito il riadattamento della commedia greca. L’intento di Cesaro è stato infatti quello di consegnare la tradizionale morale dell’opera originale: la necessità e il lavoro come motore della vita.
La trama dell’opera originale infatti vede un anziano cittadino ateniese, il povero ma onesto Cremilo che insieme al suo servo Carione si reca a Delfi per chiedere la sorte del figlio al dio Apollo, avendo notato che nel mondo la ricchezza non premia gli onesti. E così su indicazione dell’oracolo prende in casa sua un povero straccione, il primo uomo incontrato fuori dal tempio e che si rivelerà essere Pluto, il dio della ricchezza, cieco. Cremilo dunque si convince che la disuguaglianza economica sia causata proprio dalla cecità del dio e si offre per ridargli la vista. Da qui l’intervento di Penìa (Povertà) che cerca di persuadere Cremilo dal suo intento risulta inutile: infatti non solo i meritevoli, ma tutti quanti i cittadini diventano ricchi. Tuttavia il nuovo stato di cose si rivela foriero di sorprese e controproducente per molti: un sicofante, per esempio, va in rovina poiché non ha più gente da denunciare, una vecchia non trova più giovani disposti a soddisfarla a pagamento, lo stesso Zeus si lamenta perché gli uomini non hanno più bisogno di fare offerte agli dèi; ma quello messo peggio di tutti è Hermes, dio dei mercanti e dei ladri, che deve addirittura cercarsi un nuovo lavoro.
In questo caos di ricchezze Vito Cesaro si inserisce con battute divertenti in un intrattenimento leggero e piacevole continuando a rimanere saldo al filone aristofaneo del contrasto tra ricchezza e povertà. Una critica alla società moderna, ad un mondo che vede il suo unico popolo diviso in tanti popoli, sviluppati e sottosviluppati e che a loro volta vedono un’ulteriore suddivisione interna tra le classi sociali in un susseguirsi generazionale di ricchi e poveri. La simpatia e la satira celano infatti una riflessione profonda che la Grecia, Antica, tramanda di secolo in secolo: la suddivisione di classe, la necessità di trovare soluzioni alla globalizzazione causa di ancor maggiori divisioni sociali, l’assenza di meritocrazia in contrasto con baronaggio e clientelismo.
In fondo la società moderna deve molto all’Antica Grecia, non solo le virtù, ma anche e soprattutto i vizi.
Cristina Caminiti