C’è vento stasera. Vento da nord, vento di tempesta. Vento che porta, vento che prende. Chiudo gli infissi, sbarro gli ingressi. Che soffi, se riesce, tra queste mura dove a mezz’aria aleggiano antiche melodie che credevo dimenticate.
Arriva lo straniero. Riconosce la musica al primo ascolto e ad occhi chiusi ne dirige l’armonia, con l’indice che danza discreto. È il fuoco che detta legge tra arpeggi sulla Conde negra di Paco. L’anima entra in consonanza e malinconica si strugge e balla flamencos imparati in altre vite. I piedi eseguono e sono corde di chitarra e mani e tacchi battuti a tempo. E non riesco ad essere altro se non quella danza che fa sangue.
Il vento trova, nel portone d’ingresso, uno spiraglio da cui infilarsi e risale le scale. Strisciando sotto la porta chiusa, da arrogante padrone vorrebbe prendere possesso della stanza. Ma è costretto a fermarsi, ammagato. Silenzioso ascolta, ascolta e impara, impara e ruba, ruba e fugge. Striscia sotto la porta, scende le scale ed esce da dove è entrato. Eccolo in strada! Soffia sui rami, per farli vibrare al ritmo del fuoco e loro obbediscono e vibrano, vibrano ma il padrone non è soddisfatto. Manca qualcosa. E allora rientra rifacendo il percorso. Stavolta è ladro consapevole. S’infila nella stanza e si ferma in un angolo. Allarga i pori e risucchiato, risucchia. Lo straniero diventa note. Vortica con la musica nel vento e fuggono insieme. Resto sola. Una bambina cui hanno rubato il maestro di danza.
Urlando, spalanco la porta, maledico il vento, subdolo conquistatore di anime. Spalanco la finestra e gli lancio la sfida: venga lui a insegnarmi la danza. Non ne sei capace, signore del movimento, goffo agitatore di foglie e cartacce. Non sei che un ladro di energie altrui. Nel tuo mordi e fuggi, non impari nulla. Vieni, goffo agitatore di mari e nuvole. Vieni, prendimi tra le braccia e insegnami, se ne sei capace. Mi sei debitore, sei entrato in casa mia senza invito, hai portato via il mio maestro, il mio straniero. Cosa speri di rubargli? Perché non rispondi? Dove ti sei nascosto? Hai paura di una donna?
Ricompare all’improvviso, immobile nel vano della porta. Ha l’aspetto di un antico cavaliere. Mi fissa e si toglie l’armatura. Chiudo gli occhi. Sa di salsedine, di erba fresca e di gelsomini all’alba, di bucato, di caffè, di mosto e di olio nuovo. Di fatica. Chiede il permesso di entrare. Glielo concedo e balliamo pensieri, tutta la notte.