preferenza di genereLa miriade di reazioni indignate di queste ore, sulla stampa e sui social, a seguito della mancata approvazione della legge sulla doppia preferenza di genere da parte del Consiglio regionale calabrese, ci dicono che la Calabria andata in onda lunedì scorso non corrisponde a quella reale. È una sua rappresentazione arcaica e arroccata in un difensivismo da duello medioevale dove ciò che conta è la sopravvivenza personale e non la crescita e il progresso civile della propria comunità.

Anche lunedì, come in occasione dei tanti precedenti rinvii, eravamo nel pubblico numeroso che assisteva attonito al teatrino degli uomini in campo, tra colpi di fioretto e di spada, più o meno abili tentativi di salvarsi e di ferire l’avversario e di salvare la propria immagine democratica o progressista. Se pure sono mancati, questa volta, i riferimenti offensivi alle donne definite arriviste e poco attente ai reali problemi dei calabresi (da che pulpito!), o gli inopportuni gesti di esultazione tra colleghi, il risultato finale è rimasto uguale: la Calabria resta al palo anche nel riconoscimento di maggiori diritti di democrazia e partecipazione.

Ebbene, siamo stanchi di una classe politica che ad ogni livello si autoconserva, chiude le porte alle novità e alle energie fresche e motivate, si lambicca il cervello per concepire meccanismi legislativi protettivi di se stessa, per spostare sempre più in alto la selezione dei rappresentanti, allontanandola dal popolo e delegandola alle ormai inesistenti segreterie di partito, a cominciare dalle liste bloccate per il Parlamento (nessuno parla più di rimuoverle? I “cittadini” cinque stelle hanno smesso di invocare il cambiamento?). Penso che questo sia stato il primo vero tema politico di questi cinque anni e l’unica questione che abbia creato mobilitazione e spirito di resilienza, ormai davvero infiacchiti: ma solo all’interno del Consiglio regionale e della Giunta che ha espresso, perché invece nella società civile calabrese, nei sindacati, nei movimenti di opinione la realtà è diversa e ci si mobilita per allineare la Regione Calabria al resto d’Italia.

Mancano ancora diversi mesi alla fine della legislatura regionale che, ricordiamolo, ha visto la partecipazione solo del 44,70% dei votanti nella sua elezione. La partita non può e non deve considerarsi chiusa. Molti comuni calabresi hanno avanzato proposte di legge per l’introduzione della doppia preferenza e altri si apprestano a farlo. I consiglieri regionali tengano conto della delusione e dell’amarezza che la loro scelta (di esserci, non esserci, astenersi) ha determinato nel popolo calabrese e ritrovino l’orgoglio della rappresentanza. Non è una questione questa sulla quale possa giocarsi il duello maggioranza/minoranza, ma terreno sul quale ciascuno deve confrontarsi con la cultura personale e le proprie idee, liberamente e apertamente, come qualcuno, apprezzabilmente, pur nell’arretratezza delle sue convinzioni, ha fatto.

Non ricorderemo questo Consiglio per la sua inutilità collegiale e contestuale a prescindere dai singoli, per aver migliorato un sistema della sanità malato, ne’ per aver impedito ai nostri figli di cercare lontano il proprio futuro, ma almeno si restituirà una speranza a chi rimane e l’immagine nel Paese che persino in Calabria, in tutto ultima in Europa, la rappresentanza istituzionale possa essere aperta e contendibile da parte di chi quella Calabria la salva e la rappresenta già al meglio nell’associazionismo, nei sindacati, nelle associazioni e nelle imprese e che non chiede favoritismi, ma pari opportunità, peraltro già riconosciute da una legge nazionale. Ci sono ancora i termini e gli strumenti per recuperare lo scivolone e riconnettersi con la società calabrese, dissodando un terreno ormai arso di fiducia e  passione ideale. Senza più alibi ne’ tatticismi. È la Calabria che lo chiede. Dimostrate di saperla ascoltare.