“In un angolo del campo di concentramento, a un passo da dove si innalzavano gli infami forni crematori, nella ruvida superficie di una pietra, qualcuno, chi?, aveva inciso con l’aiuto di un coltello forse, o di un chiodo, la più drammatica delle proteste: “Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia” – Luis Sepulveda.
Ottant’anni, solo ottant’anni da quei cruciali momenti che hanno segnato la storia di un popolo: il 14 Luglio il Manifesto della Razza, il 5 Settembre la firma in Toscana per la difesa della razza nella scuola fascista firmata da re Vittorio Emanuele, Mussolini e Bottai, il 6 Ottobre la Dichiarazione sulla Razza approvata dal Gran Consiglio del Fascismo, il 17 Novembre il decreto con i Provvedimenti per la Razza Italiana, e ancora La Notte dei Cristalli, la distruzione di ogni forma di cultura da parte ebrea, la censura editoriale e giornalistica su qualsiasi forma di antifascismo e il divieto di accesso a scuole, enti pubblici e lavorativi per gli ebrei.
La presentazione di due grandi libri al Caffè Letterario Mario La Cava, alla vigilia della giornata della memoria, ha scaturito una profonda riflessione nella quale continuano a rispecchiarsi parallelismi tra il passato e il presente, tanto da portare alla convinzione che tra i due tempi non ci sia un vero e proprio distacco, bensì una mescolanza: il presente sembra passato, e il passato ritorna ad emergere in ogni momento sebbene sotto diverse spoglie.
Mentre Nadia Crucitti raccontava il suo libro Berlino 1940. La convocazione, e Rocco Lentini esponeva i dati del suo Nel recinto dell’inferno. I calabresi nei lager nazisti, la mente ha riecheggiato tutte le cronache odierne, di un olocausto che ieri come oggi continua ad esistere.
Il rischio di un ritorno al fascismo è in allerta ogni giorno e quegli stessi esseri umani che nei lager erano solo numeri, ritornano da un passato sempre più vivo nelle cronache mondiali odierne. Continuiamo a parlare di numeri, di morti e di vittime, senza però soffermarci a pensare che si tratta di esseri umani che hanno subito e oggi subiscono le atrocità di un potere basato su una Propaganda del Terrore che si fa leva sulle debolezze dell’uomo, le paure e il senso di pericolo.
Il Caffè Letterario ha intitolato la serata di ieri sera Atrocità del potere. La Shoah tra propaganda e tragica realtà e tale titolo mi ha rimandata ad un’ottima analisi del concetto di potere fornita da Foucault: esso non può essere studiato a partire dalle forme istituzionali e giuridiche dei concetti di sovranità e di legge, ma va compreso nella quotidianità che produce nel mondo sociale. Il potere non può essere identificato in un solo soggetto, ma è onnipresente, viene da ogni dove e si moltiplica in innumerevoli forme.
Tale riflessione chiarisce esattamente come un popolo eserciti esso stesso un potere. Influenzato da piccoli atteggiamenti, da parole contro la diversità, è lo stesso popolo a esercitare il potere dell’indifferenza e dell’odio razziale, assoggettato dalla paura di un’imminente invasione dello “straniero”.
E quella stessa paura insorta negli anni ’30 e ’40 in Italia e Germania che ha portato alla condanna di uomini la cui unica colpa era quella di essere “diversi”. Una diversità che però ha coinvolto non solo ebrei, ma tutte le etnie considerate di bassa importanza, la sessualità, gli orientamenti politici, l’intellettualità e l’arte: tutti condannati perché fuori dalla massa, secondo un potere che si era insinuato tra i vicoli della popolazione.
Un paragone con i nostri tempi non può essere escluso. Si, perché ai nomi di Aushwitz, Buchenwald, Birkenau, Dachau o Mauthausen, oggi si aggiunge uno un po’ più generico, fatto di una sola materia, il mare. Tale parallelismo non è assolutamente azzardato, anzi si può parlare del medesimo sterminio di esseri umani, lasciati a morire di fame, di freddo, di malattie e di stenti, tra cadaveri e sporcizia sui barconi. Persone che non sono più annientate dalle camere a gas, ma che sono risucchiate dalle acque dei mari in tempesta, che muoiono di agonia, violenze e soprusi durante il tragitto in Libia e il tutto a poche miglia dalle nostre coste.
Una paura alimentata da una propaganda che riecheggia Goebbels, contro chi non ha alcuna intenzione di invadere, ma che invece fugge da una guerra che ha distrutto il suo paese, ha soffocato la sua cultura e che lo porta a morire sui campi di concentramento dei mari e delle baraccopoli. L’immigrato e l’ebreo, oggi incarnano la stessa identità di straniero e l’Europa che prima aveva condannato la Germania per il delitto di uomini, riflette quello stesso stato che non ha accettato il “diverso”.
In un era in cui il fascismo e il razzismo continuano a bussare alle porte della società e l’indifferenza sofferta da chi, come ieri, rimane senza un nome, tenta di trovare una via d’uscita all’Olocausto dei mari, viaggia di pari passo con quel passato di atrocità che ha il compito di insegnare che la storia, sebbene sia fatta di corsi e ricorsi, di cicli che non hanno una fine, può fermarsi e deviare da quegli stessi errori che hanno distrutto la vita di popoli.
Oggi però non dobbiamo fermarci a pensare solo ad una piccola parte di storia, ma la nostra mente deve essere rivolta alla riflessione di tutti quei popoli che sono vittime di un abuso di potere, basato sulla brutalità e sull’odio contro il medesimo essere umano.
A tal punto riecheggianti sono le parole di Umberto Eco “Il fascismo può tornare sempre, il nostro dovere è smascherarlo ogni giorno in qualunque parte del mondo”.
Cristina Caminiti