madre 1

Nonostante le politiche di sostegno alla famiglia e gli avanzamenti sociali, essere madre e lavoratrice continua a essere una sfida. In un contesto che ancora non riconosce pienamente la centralità della parità di genere e dell’equilibrio tra vita privata e vita professionale, molte madri si trovano a dover scegliere tra il loro ruolo di genitore e la loro carriera, senza  garanzie concrete che tutelino adeguatamente i loro diritti sul lavoro. A questo si aggiunge che, nel tentativo di costruire una carriera e una famiglia, molte donne sono costrette a posticipare la data di formazione di una famiglia, altre invece scelgono di diventare prima madre e poi dedicarsi alla carriera, alla quale, ovviamente, accederanno tardi rimanendo indietro rispetto ai colleghi uomini.

E ci troviamo nell’avanzatissimo 2025.

La maternità come un’“Interruzione” della Carriera ormai è considerata come un  paradosso sociale.
Il quadro giuridico italiano, purtroppo, non è sufficiente a garantire che questa venga percepita come un diritto e non come un ostacolo alla carriera. Le leggi esistenti, come il congedo di maternità e i permessi di paternità, sono fondamentali per la protezione della madre lavoratrice, ma non bastano a colmare la distanza tra i diritti teorici e la pratica quotidiana. La discriminazione sul lavoro nei confronti delle donne che diventano madri è ancora una realtà diffusa. In molti contesti, la maternità viene vista come un interruzione della carriera, un momento di pausa che compromette le opportunità professionali di una donna. Questo è il frutto di una cultura che non ha ancora messo in discussione la divisione tradizionale dei ruoli familiari e la colpevolizzazione della donna quando non riesce a soddisfare contemporaneamente le esigenze lavorative e familiari.
La legge italiana, almeno sulla carta, offre una serie di tutele per le madri lavoratrici. La Legge 53/2000 stabilisce il diritto alla maternità obbligatoria (5 mesi di congedo retribuito, di cui 2 mesi prima del parto e 3 dopo), il diritto al congedo parentale (che può essere usufruito da entrambi i genitori, ma che è più frequentemente utilizzato dalle madri) e altre forme di protezione, come il divieto di licenziamento durante il periodo di gravidanza e i primi 3 anni di vita del bambino.

Tuttavia, la realtà è che le madri lavoratrici spesso si trovano a dover affrontare difficoltà pratiche per far valere i propri diritti. Il congedo parentale è spesso percepito dai datori di lavoro come un “onere” piuttosto che come un diritto, e molte donne si sentono costrette a non usufruirne per paura di essere penalizzate o di compromettere la loro carriera. La gestione della maternità è ancora una questione che riguarda principalmente la madre, mentre il padre ha un ruolo marginale, nonostante le normative sul congedo di paternità siano state recentemente estese.
La discriminazione nascosta è un altro aspetto fondamentale da affrontare. Non è raro che, dopo il ritorno dalla maternità, le donne vengano trascurate nella promozione professionale, vengano escluse da progetti importanti o vengano messe in posizioni meno prestigiose. In alcuni casi, l’ambiente di lavoro può divenire ostile e poco accogliente per una madre che ha bisogno di tempo per conciliare gli impegni familiari e professionali.

La prima cosa da fare è conoscere i propri diritti. Ogni madre lavoratrice in Italia ha diritto a un congedo di maternità obbligatorio di 5 mesi, ma è fondamentale sapere che questa tutela è estesa anche a lavoratrici autonome, partite IVA e lavoratrici a tempo determinato. Inoltre, se il congedo di maternità viene interrotto per motivi di salute, è possibile recuperare i giorni non goduti.
E’ essenziale che le madri siano consapevoli del diritto alla protezione contro il licenziamento. Durante la gravidanza e fino a un anno dopo la nascita del bambino, una lavoratrice non può essere licenziata, salvo che per motivi disciplinari gravi. Questa protezione si estende anche al congedo parentale: se il datore di lavoro licenzia una lavoratrice durante questo periodo, la licenza è illegale e può essere impugnata.

Nel caso in cui una madre si trovi in una situazione di discriminazione sul posto di lavoro, ha il diritto di denunciare il comportamento del datore di lavoro. La legge italiana prevede che, in caso di discriminazione legata alla maternità, la lavoratrice possa rivolgersi alla Corte del Lavoro o a una consulente legale specializzata per tutelarsi. I sindacati possono offrire un supporto fondamentale in questi casi, rappresentando le lavoratrici e garantendo che i diritti vengano rispettati.
Il congedo parentale può essere utilizzato dai padri, ma spesso la cultura aziendale e le aspettative sociali rendono più difficile per loro fruirne. L’equilibrio di genere, quindi, dovrebbe essere sostenuto e richiesto non solo dalle madri, ma realizzato anche dai padri che possono prendersi la responsabilità di conciliare il lavoro e la famiglia. nelle giovani generazioni di padri il passaggio alla gestione condivisa dei carichi familiari è più evidente ma non così largamente diffuso.

 

In realtà non si tratta di cambiare solo le regole dei diritti paritari. La vera sfida consiste nel cambiare la cultura del lavoro in Italia. Un cambiamento che non riguardi solo l’introduzione di leggi più inclusive e protettive, ma che promuova una cultura del lavoro che valorizzi il tempo della maternità e la flessibilità lavorativa. Le politiche aziendali dovrebbero incentivare la conciliazione tra lavoro e vita familiare, favorendo il lavoro agile, la flessibilità oraria e un supporto concreto alle madri che tornano a lavorare dopo il congedo. Cambiando lo stesso concetto del lavoro, ancorato alla produzione massiva tipica della rivoluzione industriale, della produzione in catena di montaggio, verso la capacità del lavoro per obiettivi , cambierebbe automaticamente l’ostacolo per le donne madri nel mondo del lavoro, con implicazioni positive anche per i padri, per un tempo più aperto verso la famiglia e meno verso la “dedizione a ore” alla carriera.

Viviamo così, ancora, un compromesso. Le madri lavoratrici sono ancora costrette a scegliere tra il loro ruolo di genitore e il loro successo professionale. I diritti esistono, ma è fondamentale che vengano applicati e rispettati in ogni ambito lavorativo. Solo così sarà possibile costruire una società più equa, dove la maternità è una risorsa e non un ostacolo, dove le donne possono finalmente vivere in pieno sia la loro carriera che la loro famiglia, senza sentirsi costrette a rinunciare a nessuna delle due. La maternità non è un lusso; è un diritto, e come tale va tutelato.