bimbabiondaAMORE CHE VIENI, AMORE CHE VAI

di

Rossella Scherl

 

 

        La prima volta che ho fatto a botte per una femmina stavo in seconda. Prima, non avevo fatto mai a mazzate, ma quell’anno in classe arrivò Irina, bella bellissima, bionda, con gli occhi azzurri e la faccia bianca bianchissima, dell’est.  Me la sognavo anche la notte e quando la vedevo sentivo un arruffamento nella pancia.

         Irina non dava confidenza a nessuno però piaceva  a  tutti i maschi della classe e pure a quelli della terza. Alle femmine, no. All’uscita di scuola tornava difilato a casa camminando svelta svelta, sotto sotto ai palazzi e attraversava la strada sempre sulle strisce.  Quando il nonno non camminava troppo lento per i dolori, riuscivamo a seguirla per un po’,  ma era troppo veloce. E poi, è successo: il nonno era in ospedale per  il velo degli occhi, papà era fuori per lavoro, la mamma aveva un colloquio con un avvocato che forse la prendeva nello studio e io sarei tornato a casa da solo.

        Quella mattina non passava mai, non riuscivo a stare fermo sulla sedia, pensavo solo che avrei potuto fare la strada con Irina. All’uscita di scuola le avrei chiesto: andiamo insieme? Tanto nessuno veniva mai a prenderla. Suonò la campanella. Ho infilato lo zainetto senza infilare il giubbino per non perdere tempo, ma lei aveva le gambe lunghe e ho dovuto correre per non perderla di vista. Adesso mi avvicino, adesso le parlo: per uno dei suoi passi, dovevo farne due. L’avevo raggiunta ma Agostino era arrivato prima di me. Agostino, della III B: un verme, non lasciava mai in pace quelli di seconda.

        Mi fermai davanti alla vetrina della panetteria, facevo finta di guardare le pizzette esposte e lo tenevo d’occhio. Non erano lontani. Irina diceva fammi passare e lui rideva e si vedeva che gli era caduto un dente. Irina si spostava di lato e lui si metteva davanti e poi le voleva prendere la mano e lei: smettila. Quasi piangeva. Allora non ci ho visto più, mi sono avvicinato e ho tirato Agostino per un braccio. Mi ha dato un pugno nello stomaco e io  mi sono buttato addosso a lui, più grosso e più alto di me, con tutto il peso dello zaino. Siamo caduti a terra, lui sotto e io sopra. Dei signori ci hanno diviso. Mi bruciava la mano, era tutta scorticata ma a lui, a lui usciva il sangue dal naso e quando s’è alzato mi ha detto: adesso siamo amici. E se n’è andato. Ero sicuro che Irina fosse dietro di me, che mi avrebbe dato un bacio per averla salvata. Mi giro: non c’era più.

        Non vedevo l’ora di incontrarla il giorno dopo a scuola, speravo mi avrebbe almeno sorriso. Neanche mi guardò, fino alla fine dell’anno scolastico, forse perché Agostino mi salutava?

        Quando iniziò la terza, l’avevo pensata tutta l’estate. Mi erano caduti due denti e avevo imparato a nuotare. Le avevo portato una cartolina da Palinuro per regalo, ma Irina, disse la maestra,  si era trasferita con la famiglia in un’altra città. Al suo posto c’era una nuova bambina, Yumi, bella bellissima con gli occhi neri e i capelli pure, lucidi, un poco lunghi e sulla fronte più corti, e bianca bianchissima, dell’est, ma più a oriente.

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