di
Rossella Scherl
Sono un ladro e lavoro di notte. Anche quando piove. Mi muovo a piedi per i vicoli della città vecchia, dove le luci dei lampioni sono discrete e i teppisti non si divertono a bersagliarle con pietre e lattine vuote, come in altre zone.
Nella città vecchia di notte girano solo gatti randagi a caccia di topi, cani senza padrone in cerca di cibo e di odore di femmina, vecchi ubriachi e qualche strampalato come me. Non ci sono locali, se non un vecchio bar che chiude prima di mezzanotte perché tanto, se anche restasse aperto, dopo quell’ora, non ci andrebbe nessuno.
Le case della città vecchia sembrano fantasmi sdentati e nelle notti di vento, le finestre, con gli infissi divelti per metà, fischiano come un uomo che inganna il tempo in attesa che il tempo passi e con esso, i giorni e le stagioni.
La città vecchia puzza di muffa. L’umidità ha chiazzato di nero gli zoccoli dei muri a ridosso dei marciapiedi e gli scarafaggi ci si vanno a nascondere per marciare indisturbati prima che la luce del giorno li riporti nei tombini. Ogni tanto, becco qualche coppia clandestina nell’angolo di un portone o nascosta, rumorosa di gemiti, in un vano al primo piano, sul pavimento nudo, e la derubo, senza che si accorga della mia presenza, delle gioie proibite. Ne fermo tracce di istanti che metto accanto a squarci di vicoli, al particolare di un paracarro, all’occhio di un gatto, a una foglia di platano arrivata da chissà dove. In bianco e nero. Luce e buio. Il regno delle ombre.
Sono un balordo. Dormo di giorno e vivo di notte. E rubo. Rubo emozioni. E quando piove, mi piace. Gli odori, prima di essere lavati via, sono più forti, e dalle narici mi arrivano al cervello con l’effetto dell’oppio. Il dolore sordo svanisce e la coscienza vigile lascia libera l’incoscienza. Mi arrampico su scale semidistrutte che portano al poco che resta delle pareti che formano quadrato, in cerca di tracce di vita spezzata. L’ombra di una cornice. Non manca mai uno specchio. Da uno, è diventato mille. L’inanimato che riflette, ghigna, in frammenti, amplificando l’orrore. Provo a catturarne un dettaglio, un misero specchio di brame. Scatto. E ancora, mi metto a caccia e scatto. E rubo, per dare un senso a ciò che non ne ha.