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Giornata importante quella di ieri a Reggio Calabria dove vince la Città, lo Stato, la Società Civile. Eravamo proprio in tanti a manifestare la voglia di riscatto nei confronti della piovra che attanaglia la città. Due le risposte importanti. La prima, fondamentale, è quella di “uno Stato presente” come ha sottolineato nel suo intervento il Prefetto Sammartino. Nella mattinata di ieri infatti l’operazione anti ndrangheta che ha interessato un intero quartiere della città e portato all’arresto di 19 persone tra nomi noti e altri insospettabili, ha dato il via ad una giornata che si è conclusa sul Lungomare Falcomatà, alla presenza delle più alte cariche cittadine con l’inaugurazione del negozio “anti racket” di Tiberio Bentivoglio. La seconda è stata la risposta della città. Mentre testimoniare con la presenza da parte dell’associazionismo (Scouts, Volontariato, Libera, Arci, OO.SS.) è un fatto noto alle cronache, la presenza inattesa di una folla di cittadini che hanno testimoniato vicinanza a colui che rappresenta il simbolo della lotta alla ndrangheta, è stata simbolo di una cultura che cambia, di una “città diversa” come ha testimoniato don Luigi Ciotti. La forte azione di contrasto portata avanti dalla magistratura e dalle forze dell’ordine contro la ndrangheta, con le ultime operazioni che hanno portato all’arresto di personaggi che hanno condizionato in questi anni, la vita economica e sociale, del nostro territorio è una vittoria per tutti. Mai come in questo momento serve rialzare il fronte sociale di contrasto alla prevaricazione se vogliamo sconfiggere definitivamente questo fenomeno opprimente per il nostro territorio. Serve far sentire e sostenere concretamente, ognuno per la sua parte, l’operato della magistratura non solo con attestati pubblici di vicinanza ma soprattutto con azioni concrete di denuncia e di sostegno, nel far crescere ed alimentare la cultura della legalità. Nell’ultimo incontro avvenuto poco tempo fa alla presenza del presidente della Commissione anti mafia Rosy Bindi e del Sottosegretario Sen. Marco Minniti sostenevamo infatti “che non è possibile chiedere a ciascuno di noi di immolarsi come martire o eroe, è indispensabile che la lotta alla ndrangheta non sia patrimonio di pochi e isolati singoli ma diventi patrimonio comune, una scelta di tutti, un fatto sociale; in una parola necessita una rivoluzione culturale”. Siamo convinti infatti che è finito il tempo dei convegni e dell’antimafia di facciata o, come la definiva tanti anni fa SCIASCIA, dell’antimafia di professione; ognuno di noi, da oggi, ci deve mettere la faccia e non delegare ad altrui l’impegno quotidiano a combattere il malaffare. Per dirla con la “pancia” come il nostro primo cittadino “ci siamo rotti le palle”.