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La musica riesce a far incontrare persone e culture diverse, che insieme danno vita a qualcosa di nuovo. Il Play Music Festival 2016 nasce dalla necessità di voler vivere e raccontare questo incontro, esprimendolo in tutti i modi possibili dell’arte contemporanea. L’associazione Soledad e il direttore artistico Alessio Laganà hanno quindi proposto il tema della valigia di suoni ad altre realtà operanti sul territorio nel mondo dell’arte, dell’impegno sociale, dell’accoglienza. La valigia di suoni intesa come viaggio, incontro, ricerca, ascolto, apertura verso gli altri, superamento dei pregiudizi, compresi quelli che ci riguardano. È stato chiaro fin da subito che, per evitare gli opposti estremi del buonismo e della diffidenza, avremmo dovuto metterci in gioco “noi” (intesi come italiani, calabresi, reggini) per primi, proprio per superare quel “noi” e allargarlo all’umanità intera.
Come in una festa condivisa, ognuno ha portato qualcosa di sé e delle proprie attività, per costruire insieme delle occasioni in cui raccontarsi e raccontare cosa succede quando si incrociano esperienze e culture diverse. È quindi grazie alla collaborazione e la disponibilità di A di Città Rosarno, Amnesty International Gruppo 292, Arci Community Reggio Calabria, Associazione Magnolia, Coordinamento Diocesano Rc, Fondazione Horcynus Orca, Gruppo Emergency Rc, Help Center Casa di Lena, Il Cerchio dell’Immagine, Techné Contemporary Art, Terrearse Lab che il programma ha potuto prendere forma.
Il cantiere Officine Miramare che ha sposato il progetto, patrocinato dal Comune di Reggio Calabria, lo ha reso ancora più ambizioso e simbolicamente rilevante. Da tutto questo sforzo sinergico sono nate quattro performance artistiche, una mostra fotografica, otto incontri, oltre che il fiore all’occhiello del Play Music, tre emozionanti concerti.
Una cassa di risonanza per parole e suoni migranti: si è aperto con la performance sulla scala interna del Grand Hotel Miramare e si è concluso con le pacate riflessioni e denunce di Ousmane Thiam, mediatore culturale dello staff del poliambulatorio Emergency di Polistena, il primo weekend del Play Music Festival – “Una valigia di suoni”. «Non c’è la guerra, in Senegal. Vi siete chiesti cosa spinge un ragazzo a partire, a cercare fortuna altrove, come vede l’Europa?»: Ousmane Thiam, nell’atmosfera raccolta di domenica sera alle Officine Miramare in occasione dell’incontro “Searching Rosarno: paesaggi sonori della Piana”, ha aperto la propria valigia di suoni e ha raccontato il proprio viaggio dal Senegal all’Italia passando per la Francia, le sue esperienze come operaio in Piemonte, poi, dopo la crisi del 2009, come «vu cumpra» ad Ancona, bracciante a Rignano Scalo e infine mediatore culturale per Emergency, prima nella stessa Rignano Scalo e poi a Polistena. Incalzato dalle domande di Josephine Condemi, ha aggiunto subito dopo: «L’Europa viene vista come l’Eldorado. Per questo, quando arrivi, oltre al viaggio, subisci un fortissimo contraccolpo psicologico. Nel frattempo a casa si sono già create un sacco di aspettative e se dici che non è come pensano nessuno ti crede. Tornare è considerato un fallimento: nessuno vuole mettere in dubbio le informazioni che girano in Africa, anche se sono molto distanti dalla realtà». Sulle informazioni erronee riguardo territori e persone si è soffermato anche Angelo Carchidi di A di Città, associazione di Rosarno che opera nell’ambito della rigenerazione urbana: «lavoriamo per toglierci a vicenda le etichette e i pregiudizi, anche attraverso i paesaggi sonori, quindi le registrazioni dei suoni negli ambienti. Per noi la comunità di Rosarno è una, Rosarno è da sempre luogo di passaggi e migrazioni, non si possono dividere i quartieri con l’accetta, i conflitti sono multipli e spesso dovuti al sovraffollamento. La responsabilità è del territorio ma serve la volontà politica ed economica dello Stato per risolverli». Uno Stato che, per Bruno Giordano, viceresponsabile di Amnesty International Gruppo Italia 292, «non ha fatto abbastanza: la legge Rosarno, nata nel 2012 per contrastare lo sfruttamento dei migranti resta inefficace, si chiede al migrante di denunciare ma» si chiede Giordano «come si fa se, oltre alle difficoltà psicologiche, molti neanche sono a conoscenza delle generalità delle persone per cui stanno lavorando?». Prossimo appuntamento il 3 marzo con i ritmi emotivi del Brasile.

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