Lo aveva già fatto in passate timide occasioni ma oggi l’Accademia della Crusca mette il punto alle questioni di genere nell’uso delle parole.
Lo fa perchè la Corte di Cassazione si è posta il problema. Se Cassazione è sulle norme, la Crusca “fa Cassazione sulla lingua”, e così la Suprema Corte delega a chi può cancellare tutti i dubbi. Il quesito è riferito “solo” al corretto uso dei termini femminili negli atti giudiziari ma chiarisce largamente il dilemma in modo più ampio. Vogliamo credere che la recente nomina di Margherita Cassano abbia aperto alla sensibilità dell’uso del linguaggio di genere corretto. Non sappiamo i “tempi recenti” cui fa riferimento la Crusca nella sua risposta a quando risalgano. Fatto sta che dopo tanta letteratura chiara, condivisibile, tecnicamente sostenuta partendo da Alma Sabatini e finendo a Cecilia Robustelli, finalmente qualcosa è stato conquistato. Adesso godiamo della chiarezza e autorità che ci sostiene nella nostra battaglia del linguaggio di genere, per riprendere domani le armi della penna e continuare a fissare nuovi punti di arrivo.
Con buona pace (finalmente!) di chi storceva il naso. Certo, chi è abituato a studiare sodo, a leggere da una vita e ad usare in un certo modo le parole fa fatica ad abituarsi. Ricordiamo però che il modo era tutto patriarcale e la declinazione al femminile dei nomi era sempre in versione “ancillare”, non paritaria, non di uguale dignità.
La lingua è cambiata perchè cambia il mondo, ed è musica per le nostre orecchie sentire le affermazioni della Crusca: “l’operazione non solo sana un’ingiustizia storica e ripulisce la lingua dai residui patriarcali di cui sarebbe ancora incrostata, ma ha anche una finalità educativa rispetto alla popolazione presente e futura, perché la lingua condizionerebbe la percezione della realtà, cioè il modo con cui le persone colgono e interpretano il mondo“.
E scende nei dettagli con le sue indicazioni pratiche:
- Evitare le reduplicazioni retoriche. (Evitiamo avvocate ed avvocati, cittadine e cittadini …)
- Uso dell’articolo con i cognomi di donne. (“La” Meloni invece di Draghi)
- Esclusione dei segni eterodossi e conservazione del maschile non marcato per indicare le cariche, quando non siano connesse al nome di chi le ricopre. (Via il “maschile marcato” – la supremazia del maschile va in pensione – ma con la non ammissione dei segni soffrono i sostenitori della schwa, non sono ammessi disegni, segni e altro a sostituire i generi …. la strada per loro sarà più lunga e, noi speriamo, veloce). Il plurale maschile viene salvato, (es. gli studenti, gli insegnanti) ma può essere sistemato grazie alla mancanza di pigrizia (es. il corpo studentesco, il corpo docente …. sembra solo maschile, ma non è riferito alle persone ma al concetto astratto …. maestre e studentesse non si sentono escluse )
- Uso largo e senza esitazioni dei nomi di cariche e professioni volte al femminile – Non abbiate paura! dice la Crusca…usate al femminile!
e infine, per chiarire piccola grande lezione su desinenze e suffissi:
1) i nomi terminanti al maschile in –o hanno il femminile in –a: magistrato/magistrata; prefetto/prefetta; avvocato/avvocata; segretario/segretaria, segretario generale / segretaria generale; delegato/delegata; perito/perita; architetto/architetta; medico/medica; chirurgo/chirurga; maresciallo/marescialla; capitano/capitana; colonnello/colonnella.
2) i nomi terminanti in –e non suffissati (quindi per i nomi terminanti in –tore e –sore si veda più avanti) sono ambigenere, cioè possono essere sia maschili che femminili e affidano l’indicazione del genere all’articolo (e stabiliscono l’accordo di altri elementi: aggettivi, participi…): il preside / la preside; il presidente / la presidente; il docente / la docente; il testimone / la testimone; il giudice / la giudice; il sottufficiale / la sottufficiale; il tenente / la tenente; il maggiore / la maggiore; ess. con aggettivo: il consulente tecnico / la consulente tecnica; il giudice istruttore / la giudice istruttrice, NON la giudice istruttore. Fanno eccezione forme ormai entrate nello standard come studente/studentessa (per professore/professoressa, vedi più avanti).
3) i nomi suffissati:
3.1) i nomi terminanti in –iere: il suffisso –iere (pl. –ieri) al maschile, è al femminile –iera, (pl. –iere); ess: cavaliere (cavalieri) / cavaliera (cavaliere); cancelliere (cancellieri) / cancelliera (cancelliere); usciere (uscieri) / usciera (usciere), brigadiere (brigadieri) / brigadiera (brigadiere); nel caso di titoli onorifici come cavaliere del lavoro e commendatore va considerato che finora sono rimasti al maschile anche quando assegnati a donne;
3.2) i nomi o aggettivi terminanti in -a e in –ista: al singolare sono ambigenere, mentre al plurale danno al maschile -i e –isti, al femminile -e e –iste; ess: il/la collega, ma i colleghi / le colleghe; il pilota / la pilota, ma i piloti / le pilote; l’avvocato penalista / l’avvocata penalista, ma gli avvocati penalisti / le avvocate penaliste; l’avvocato civilista / l’avvocata civilista ma gli avvocati civilisti / le avvocate civiliste; fa eccezione poeta/poetessa:
3.3) i nomi terminanti in –tore: il suffisso –tore (pl. –tori) al maschile, è normalmente al femminile –trice (pl. –trici); ess: tutore/tutrice; rettore/rettrice; direttore/direttrice; ambasciatore/ambasciatrice; procuratore/procuratrice; istruttore/istruttrice; uditore giudiziario / uditrice giudiziaria;
3.3.1) eccezioni: hanno il femminile in –tora (pl. –tore) pretore/pretora; questore/ questora; e il femminile in -essa (pl. -esse) dottore/dottoressa;
3.4) nomi e aggettivi terminanti in –sore: il suffisso –sore (pl. –sori) al maschile, è al femminile –sora (pl. –sore); ess: assessore/assessora; difensore/difensora; estensore/estensora; revisore/revisora; supervisore/supervisora; fanno eccezione femminili ormai acclimatati come professore/professoressa.
3.5) nomi e aggettivi terminanti in -one (pl. -oni): hanno normalmente i femminili in -ona (pl. -one): commilitone/commilitona; fa eccezione campione/campionessa.
4) nomi composti:
4.1) composti con vice-, pro-, sotto– e 4.2) sintagmi con vicario, sostituto, aiuto: conta il genere della persona che deve portare l’appellativo: se è donna andrà al femminile secondo le regole del sostantivo indicante il ruolo, se è uomo andrà al maschile, senza considerare il genere della persona di cui è vice, vicaria/vicario, sostituta/sostituto; ess. Prosindaco (anche se il sindaco è donna) / prosindaca (anche se il sindaco è un uomo); vicesindaco/vicesindaca; sottoprefetto/sottoprefetta; sostituto procuratore / sostituta procuratrice; prorettore vicario / prorettrice vicaria; aiuto cuoco / aiuto cuoca.
5) Pubblico Ministero: Pubblica Ministera.
Si manterranno senza problemi i nomi di professione grammaticalmente femminili, ma validi anche per il maschile, come la guardia giurata, la spia al servizio della potenza straniera, la sentinella, la guida turistica, nonché i nomi grammaticalmente maschili ma validi anche o solo per il femminile, come il membro e il soprano (ma è accettabile anche la soprano)
E se proprio non volete crederci andiamo alla fonte: