Qualche anno fa ho cenato in un ristorante di Ljubjana, il Druga Violina, secondo violino. Un piccolo ristorante nel centro della freddissima città, tra il personale quasi tutte persone con disabilità. Il messaggio è chiaro: anche se siamo considerati “secondo violino”, le cose le facciamo, e pure bene. La dignità e la capacità di quelle persone in cui molti non credono. In un’epoca di prime donne, grandi artisti, influencer dai numeri stratosferici e impronunciabili, oggi la lezione arriva proprio dai secondi violini. Nella lotta tra le eccellenze autoreferenziali e l’esaltazione della mediocrità, là in mezzo, a dare una lezione a tutti, la modesta e mai esaltata nazionale italiana che agli Europei, competizione nella quale gli italiani non sono mai stati abituati ad eccellere, è arrivata fino alla attesissima finale.
Comunque vada hanno stupito tutti e la richiesta di Mancini “divertitevi per altri 90 minuti”, spiega lo spirito con il quale hanno attraversato una competizione dove tutta l’Italia guardava distrattamente, con un messaggio: fare bene il proprio lavoro. Nessuna esaltazione dei campioni, nessun lancio degli eroi verso la vittoria, tipico del mondo sportivo, soprattutto quando si riesce a costruire intorno al personaggio l’aura della divina superiorità. Ecco, “solo” ragazzi comuni che fanno un lavoro straordinario, con la calma delle persone che individuano l’obiettivo e tranquillamente lo perseguono, senza autoesaltazione o costruzione del mito.
Così, ancora più incredibile, il risultato di Matteo Berrettini, definito schivo e metodico. Il classico secondo violino che è arrivato più lontano di chiunque altro nella storia del tennis italiano. Gli appassionati di tennis raccontano di Wimbledon come del miraggio irraggiungibile e che oggi si concretizza, come una leggenda, ma a leggenda Berrettini non si è mai atteggiato, anzi, passando quasi modestamente da un livello all’altro fino alla finale. Oggi la lezione deve essere chiara a tutti, appassionati dello sport, semplici curiosi della tv, chiunque voglia cogliere un messaggio negli eventi.
Non è il grande personaggio costruito nel mito che può cambiare le cose, nè il mediocre che grazie ai “5minuti di Warhol” può provare la sensazione della notorietà lasciando ben poco intorno a sè. Ma i secondi violini, quelli che lavorano duro, che sono sì secondi, ma in un’orchestra che pretende eccellenza, e che quel lavoro lo sanno fare, con modestia, silenzio e capacità. La mia terza nonna diceva sempre “il furbo arriva subito a 9 nella scala fino a 10, ma è la persona intelligente e caparbia che tiene duro e arriva alla fine”. Ecco, per oggi il mio augurio (più tutti gli scongiuri e riti propiziatori di cui sono capace) è che la lezione non rimanga solo ai due grandi eventi che ci stiamo apprestando a vivere con ansia e speranza, ma che comprenda l’importante insegnamento di smettere di cercare dèi, eroi, miti e leggende; cerchiamo e sosteniamo le persone comuni, solide, volenterose, caparbie, ostinate e, soprattutto, capaci, concretamente capaci; perché se lo meritano, perché sono loro a portarci lontano, non i miti e nemmeno chi gli eroi li vuole smontare, contrapponendo la mediocrità al mito. Nella strada, che sia sportiva, politica, professionale, umana, scegliamo sempre la serietà, non il mito e prima del risultato inaspettato. In questo modo, in quella finale eccellente, ci sarà anche qualcosa di noi.
La Direttora
Raffaella Rinaldis