C’è un filo rosso che lega i due eventi che hanno fatto irruzione ieri sulla scena politica nazionale: le dimissioni di Zingaretti dalla segreteria del partito democratico e il rinvio delle elezioni amministrative, in Italia, e delle regionali in Calabria. Un filo su cui cammina sospesa, da troppo tempo, la democrazia italiana. Da una parte la “nudità” del Partito Democratico, la sua ormai confessata inadeguatezza, di fronte alle sfide delle inaccettabili diseguaglianze e contraddizioni, anche territoriali, dell’Italia, esasperate dalla pandemia, che oggi rischiano, con la sospensione del voto, di aggravare la frattura fra cittadini e istituzioni, soprattutto al Sud. Dall’altra la resa della democrazia: in Calabria non si vive e non si vota. Diritti perduti di cittadini persi. Oltre alla salute e al lavoro, ormai cancellati da decenni, perché piegati alle più bieche ambizioni del potere clientelare, i calabresi potranno ora vantare il primato del “silenzio politico”. Mai una Regione era stata tenuta sospesa per tanto tempo in un regime di “prorogatio”, che impedisce il rinnovo delle assemblee elettive e degli organi democratici, proprio nei mesi in cui il Governo nazionale dovrà decidere come e dove investire i soldi del Recovery Fund. Nei mesi in cui soprattutto le regioni del Sud, dovrebbero controllare, verificare e, auspicabilmente, compartecipare a tali scelte, per scongiurare che i vincoli e gli obiettivi europei di coesione economica, sociale e territoriale, già fortemente minacciati dalla presenza della Lega in ministeri cruciali, vengano disattesi o traditi, facendo perdere al Mezzogiorno l’ultimo treno per lo sviluppo e la parificazione con il resto del Paese. Un Paese, peraltro, bloccato – come lo stesso PD, per espressa dichiarazione del suo ex Segretario – da classi dirigenti nazionali e rais locali più preoccupati di conservare il proprio potere che di costruire il nostro futuro, in Europa e nel mondo. Del resto lo stesso equivoco su cui si è nato il PD, per fusione a freddo di ceti politici post-comunisti e post-democristiani, con l’innesto progressivo di esponenti liberaldemocratici, ha condizionato tutto il campo progressista e di Sinistra. L’aver prima rinviato e poi rimosso il nodo fondamentale del rapporto fra queste diverse culture, ne ha impedito la sintesi e il superamento. In particolare, aver voluto deliberatamente cancellare, non solo gli uomini e le sigle, ma anche l’enorme valore politico e culturale del pensiero socialista – da cui germogliano nel resto del mondo le esperienze più innovative e convincenti della Sinistra – non aver colto l’importanza dei movimenti ecologisti e femministi, delle proteste dei giovani, dei movimenti popolari globali ha relegato l’esperienza di molta sinistra italiana ai margini della storia e della contemporaneità. È una condizione che – al di là del futuro che vorrà e dovrà darsi il PD – non è più accettabile. Tante donne, tanti uomini, tantissimi giovani sono già uniti su un orizzonte politico centrato sui temi della giustizia sociale, della lotta alle diseguaglianze, della transizione ecologica, dei nuovi diritti, della parità di genere, del diritto al futuro delle giovani generazioni, mentre certa Sinistra resta inchiodata al passato e a classi dirigenti lontane dalla rappresentanza democratica di questo popolo sovrano, vicine solo a parole. Di questo orizzonte, di questo “diritto al futuro e alla felicità” abbiamo fame. Ma per perseguirli abbiamo bisogno di un orizzonte politico nuovo, di nuovi strumenti di partecipazione e di una classe dirigente capace di pensarlo, costruirlo, realizzarlo. Serve, cioè, una vera e propria rivoluzione copernicana. Una di quelle rivoluzioni di cui sono capaci solo gli ultimi, quelli che non hanno più niente da perdere, o che non tollerano più di dover sempre perdere tutto, anche quando gli spetterebbe di diritto. Come i calabresi. Diaspora di eccellenza nel mondo, zavorra dimenticata nel loro Paese.
Sarebbe bello, e giusto, e rivoluzionario per la storia di questo Paese e di tutto il centro-Sinistra, se proprio dalla Calabria, ultima regione d’Italia e d’Europa, partisse una scintilla, un laboratorio politico, un movimento di donne e giovani in primis, capace di tagliare definitivamente con il passato e costruire questo orizzonte futuro. Perché è solo su questo orizzonte nuovo che sarà possibile ritrovare una vera unità, una feconda convergenza delle tante energie che danno corpo, gambe e anima alla “Sinistra che non c’è ancora”. Di più, a quell’ “Umanesimo sociale” che – ben oltre noi stessi e i nostri recinti ideologici – è il destino che la nostra generazione è chiamato a compiere. Per il Sud, per l’Italia, per l’Europa, per il mondo nuovo che tutti siamo chiamati a costruire.