Un editoriale scritto “a caldo”, e come succede in questi casi, rileggendolo, capirò di aver trascurato qualcosa o di non aver detto quanto dovevo nel modo giusto; ma tant’è, a volte le emozioni, anche quelle negative, fanno uscire quanto con l’educazione e la mediazione non diciamo e invece dovremmo.
Ormai siamo abituati ai tanti servizi giornalistici nazionali e anche esteri che ci disegnano, ahimè!, per quello che siamo. Una regione allo sbando quando si tratta di sanità e di organizzazione. Mi ritrovo ad avere una reazione scomposta ad ogni alzata di spallucce che ti dice, con un solo gesto, “ed io cosa posso fare? Non è colpa mia, sono loro che non sanno lavorare, non comunicano, non dicono ecc…”
Liquidare la questione con il fatto che da noi prevalga la raccomandazione di inetti, il qualunquismo, l’infiltrazione mafiosa, il clientelismo è facile e anche pressapochista. L’analisi deve essere elaborata bene e non può più essere rinviata. Il danno è fatto, lo sappiamo tutti, da quando è esploso il problema coronavirus sappiamo che è anche già troppo tardi, che adesso siamo arrivati a fare i conti con noi stessi. Con noi cittadini, pronti a seguire il forte di turno sperando che vada tutto bene, per poi dire che è colpa della politica, che è “tutto un mangia mangia” e poi voltarsi dall’altra parte. Ho speso fiumi di inchiostro (virtuale) scrivendo di quanto sia determinante per lo sviluppo di una sana democrazia, la partecipazione attiva del cittadino. Sono dannose, le rimostranze violente nei pronto soccorso, le aggressioni ai medici, le cause contro la malasanità ad ogni piè sospinto. E’ colpa nostra, prima di qualsiasi altra valutazione secondaria; non ci facciamo sentire nel modo giusto, non ascoltiamo chi si prodiga per creare qualcosa di costruttivo. Il cittadino ha il diritto di essere ascoltato, deve pretenderlo, con i mezzi della partecipazione organizzata e solida. Ci sono molte organizzazioni che si danno da fare per cambiare le cose, ma sembrano fragili Cassandre nel turbinìo dello scaricabarile. Rimango ancor più basita quando a fare la parte del cittadino è di solito una istituzione, dal sindaco all’assessore, dal dirigente al responsabile di un partito. Come se da parte loro non ci fossero gli strumenti per poter fare il proprio dovere. Gli strumenti li abbiamo avuti e non li abbiamo usati. Il sindaco non deve legarsi ad un cancello, deve metter su, quale istituzione, gli strumenti “istituzionali” che lui ha a disposizione e non li ha invece il cittadino, per poter ottenere un risultato, e se non ci riesce addio, torni al suo lavoro.
Se chi critica il Governo ha avuto gli strumenti per poter non solo farsi sentire ma agire ha sbagliato, e non può trovare alibi.
Ecco, da quando è iniziato questo periodo surreale ma purtroppo vero, ho pensato molto a questo termine “alibi“. L’educazione spartana ricevuta mi ha sempre impedito di usare alibi per le cose che non riuscivo a fare. Era un peccato capitale, se non ci riesci è colpa tua. Forse mi ha causato anche dei danni ma mi ha dato un vettore attraverso il quale muovermi nel mondo. Una società che dell’alibi fa l’assoluzione di tutti i mali. Oggi indignati per la figura fatta sulle testate nazionali, domani ce ne saremo dimenticati, perchè si fa così, avremo altri bersagli ai quali attribuire colpe. Allora, se dobbiamo ricostruire la nostra società, partiamo da un punto fermo, niente alibi, cominciando da noi stessi.
E vediamo se riusciamo a ricostruire qualcosa
(Questo per oggi; se dobbiamo fare una analisi seria va fatto il punto quotidianamente. Ai prossimi editoriali )