A casa sono sommersa dai libri, com’è giusto che sia; li suddivido in ogni angolo della casa e li raccolgo per gruppi tematici. Temi che sono comprensibili solo a me e che hanno un legame logico che solo io posso comprendere, perché fanno parte di alcune mie esperienze di vita, o fasi di scoperta di autori o generi. Il libro di Francesco Maria Spanò ho deciso di metterlo in un angolo molto preciso, tra le mie fotografie di famiglia e i libri, in una sequenza logica che lega gli affetti familiari alle immagini del volume edito da Gangemi. Il libro su Gerace, infatti, se sei geracese, non può passare inosservato e non puoi non trasformarlo in una tua esperienza di vita. Perché quello che racconta Francesco lo trovi nei tuoi stessi ricordi e se non sono i tuoi provengono certamente da quelli che hai sentito raccontare dai tuoi genitori, dai nonni, dagli amici più grandi.
Le immagini poi, quelle raccolte o fermate da Mimmo Curulli (chi non ricorda Mimmo per le strade e in qualsiasi occasione pubblica, senza la sua macchina fotografica?), creano un ulteriore legame tra le tue foto e le storie raccontate, sono quelle, quasi uguali, ci vedi un parente, un amico, una maestra o il postino. Momenti pubblici in cui tutta la cittadina cresceva o momenti di gioia comune. Gerace cresceva e con lei la sua gente.
E così nel suo libro Francesco lega tra loro anche le persone, non solo Mimmo ma tutte le altre che hanno contribuito al testo, un lavoro d’insieme come è stata la vita tra le persone di Gerace. Solo loro lo sanno.
Per chi di Gerace non è, un consiglio: comprate il libro, apritelo e leggete le storie e ammirate le foto, sarà come entrare in un ricordo del quale anche voi fate parte, perché è lo sviluppo dei nostri tempi fino ad oggi, è la visione di ciò che eravamo, chiedendoci chi siamo adesso.
Ho preso troppo tempo. Lo lascio adesso all’intervista che abbiamo realizzato, passo quindi al “lei” e non parlo più di Francesco o di Mimmo, però è così, tutti ci diamo del tu a Gerace, siamo una famiglia, tra alti e bassi, amori e odi, legami più o meno stretti, lontani da anni di assenza o vicini e distratti siamo, e ci sentiamo, sempre, una comunità, ovunque.
Dal titolo: Storie e immagini rivissute. Un lavoro autobiografico, uno sguardo nostalgico alla propria vita e a quella delle persone che hanno riempito Gerace. A chi è servito scrivere il libro? Alla memoria dei geracesi o a lei? L’uso del termine rivivere indica quindi guardare se stesso indietro nel tempo? Cercando la propria identità, nata nella cittadina medievale ma espressa altrove da Gerace?
L’idea di questo libro è nata come noto per caso dopo aver condiviso sullo stato di WhatsApp una bellissima immagine che ho ricevuto da mio fratello Felice su suggerimento di un amico che l’ha apprezzata. Inizialmente, quindi, avevo prospettato l’idea di una mera raccolta fotografica di momenti della mia vita familiare e dei miei concittadini dei quali sono fiero. E man mano che reperivo le immagini è accaduto qualcosa di inaspettato e lontano dall’idea che avevo immaginato inizialmente ma che forse era conseguenza inevitabile: guardando le immagini sono stato trascinato in un vortice di memoria involontaria che mi ha restituito una straordinaria emotività come fossi tornato indietro nel tempo così che è stato naturale raccontare anche il vissuto che ognuna di essa rappresentava per me e, attraverso i miei occhi, per i miei concittadini. Quindi direi che il libro ha una portata emotiva di un rivissuto soprattutto mio ma che è anche quello dei mie concittadini. Ma sto apprendendo che questo mio libro riesce ad attrarre il lettore in una dolce immedesimazione dei sui simili vissuti e questo aspetto mi inorgoglisce molto perché, al fine, per rispondere ad una delle sue domande, questo libro “serve” anche alla memoria di tutti i suoi lettori geracesi e non.
Interessante la scelta di costruzione e di stile; raccontare con immagini e persone una Città conosciuta più che altro per i suoi monumenti. Quasi a dire “attenzione, non sono le chiese a fare grande Gerace, ma la sua gente”.
Esattamente.
Tra la popolazione geracese spiccano alcune caratteristiche che quasi diventano tipiche, soprattutto la sensibilità artistica espressa in tra arti figurative e musicali. Si trova nel suo libro questo spaccato umano? Si è posto domande sul perchè l’umanità della cittadina sembra andare verso la stessa direzione?
La sensibilità artistica si trova soprattutto nella pagina dedicata alla musica “Pietre e suoni a Gerace” ma anche nel ricordo delle biennale di pittura che si è svolta sempre negli anni settanta.
Perchè adesso e perchè proprio questo libro?
La perdita di mio padre, la vittoria sulla malattia avvenuta a ridosso del mio cinquantesimo di età, hanno inciso profondamente sulla mia emotività, e questo libro mi ha consentito di restituire amore alla mia città ed ai mie cittadini nei confronti dei quali ho da sempre un sentimento riconoscenza
Perchè un “non geracese” dovrebbe leggere il suo libro? Cosa può trovare di affascinante in Gerace e nei geracesi?
E’ un viaggio nei ricordi, individuali e collettivi, alla maniera di Marcel Proust. “Il tempo perduto”,è tempo di rimembranza. Come ci ha detto Aldo Cazzullo nella recensione, di cui mi ha onorato, su Io Donna : I volti veri delle donne della Magna Grecia;i volti autentici sono orgogliosamente mostrati, senza alcun ricorso a trattamenti estetici, rappresentano un modello di autenticità per tutti noi, senza il rischio dell’omologazione. “ le foto non erano selfie, gli appuntamenti venivano dati a voce e non attraverso whatsapp, ci si parlava di persona e non al cellulare. E’ l’Italia raccontata in un libro che mi ha colpito molto, Gerace Città Magno-Greca delle Cento Chiese”.
Il suo prossimo lavoro? Guarderà al futuro o rimarrà ancora legato al passato? Si esaurisce in questo libro cioè la storia geracese vista da Francesco Spanò o altre storie meritano ancora di essere raccontate?
Questo momento per me è molto importante a far conoscere Gerace, dialogando con i mie lettori. Ma sospetto anche io che non finirà qua
Raffaella Rinaldis